Tra sabato 9 e domenica 10 settembre si è svolto l’annuale incontro tra i capi di governo dei 19 Paesi più industrializzati del mondo (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia) più l’Unione Europea. Alle riunioni del G20 (quest’anno andato di scena a Nuova Delhi) partecipano anche le principali organizzazioni internazionali: Nazioni Unite, Fondo Monetario Internazionale (FMI), Banca Mondiale, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). La Spagna vi prende parte in qualità di invitato permanente. Nel complesso, il G20 rappresenta più dell’80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale, ma “solo” il 60% della popolazione del pianeta.
A Nuova Delhi non c’erano Putin (su cui incombe un mandato d’arresto internazionale) e Xi Jinping. Meloni ha comunque potuto incontrare il primo ministro cinese Li Qiang, con cui parlare di BRI (Belt and Road Initiative), la nuova Via della Seta, e consolidare il partenariato commerciale col gigante, in teoria “rosso”, di Pechino. In vista del G7 a guida italiana, la premier ha intavolato vari dialoghi bilaterali “strategici per gli interessi italiani”, soprattutto coi Paesi africani, a cui avrà promesso investimenti e cooperazione (termini forbiti per indicare le mire predatorie dei Paesi neocoloniali) pur di ottenere in cambio un minimo di collaborazione allo scopo di arginare le ondate migratorie.
Il primo ministro indiano Narendra Modi, concluso il suo discorso introduttivo che ha sancito l’ingresso dell’Unione Africana (UA) come membro permanente nel G20, ha invitato il presidente dell’organizzazione continentale composta da 55 Stati africani e nata nel 2002, Azali Assoumani (presidente delle Isole Comore), a prendere posto abbracciandolo. Anche l’Ue non ha fatto mancare il proprio entusiasmo per la piena adesione dell’Unione Africana al G20 attraverso il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, che, dopo aver postato il suo sostegno “fin dall’inizio” su X (già Twitter), ha auspicato una stretta collaborazione… In effetti, su iniziativa di Consiglio e Commissione europea, già da sabato si sono svolti fitti scambi tra i Paesi Ue e quelli africani presenti al G20, con i vertici di Unione Europea, Unione Africana, FMI e Banca Mondiale.
Al summit, che si prefiggeva tra l’altro di creare un corridoio economico tra Europa, Medio Oriente e India, c’è stato il lancio della Global Biofuel Alliance (l’Alleanza Globale Biocarburanti), un nuovo organismo internazionale che riunirà i maggiori Paesi produttori di biomassa, per facilitarne la cooperazione e incentivare l’utilizzo di fonti di energia sostenibili. Si è parlato anche dei rischi e delle sfide (per i lavoratori forse) dell’IA, l’Intelligenza Artificiale.
Dopo 200 ore di negoziazione,15 bozze redatte e vari incontri tra gli sherpa (i rappresentanti diplomatici che trattano la dichiarazione finale dei leader), il risultato prodotto dai potenti della terra è stato un “prodigio diplomatico” di comunicato finale che fa riferimento alla guerra in Ucraina senza mai citare i due Paesi direttamente coinvolti. Sulla falsariga del testo conclusivo nel G20 dello scorso anno a Bali in Indonesia, e richiamandosi alla Carta delle Nazioni Unite, il documento afferma genericamente che “tutti gli Stati devono astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza per perseguire l’acquisizione di territori contro l’integrità territoriale e la sovranità o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Più che un prodigio un delirio diplomatico, in cui i capi di Stato si attribuiscono virtù che uno Stato, già a partire dal suo interno, non può per definizione mettere in pratica, essendo la risultante dei rapporti tra classe dominante e sfruttati, basati sull’uso della forza da parte della prima (senza neanche toccare l’aspetto della voracità neocoloniale oltre i propri confini della stessa classe egemonica, a cui vertici come il G20 servono per allargare i propri appetiti). Ad ogni modo sappiate che al rappresentante della Russia al G20 (il ministro degli Esteri Sergei Lavrov), il quale già lo scorso anno aveva minacciato di non firmare la dichiarazione qualora fosse stata menzionata la Russia, il testo è garbato, trovandolo “bilanciato”, poiché, ha chiosato: “è stato sventato il tentativo occidentale di ucrainizzare il vertice”. Tramite il portavoce del ministero degli Esteri, Oleg Nikolenko, l’Ucraina (per altro non invitata a Nuova Delhi) ha fatto sapere che: “l’Ucraina è grata ai suoi partner che hanno cercato di includere una formulazione forte nel testo. Allo stesso tempo, per quanto riguarda l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, il G20 non ha nulla di cui essere orgoglioso”. Gli Stati Uniti e i suoi partner europei hanno fatto buon viso a cattivo gioco. Pechino ha firmato. “Modiplomacy wins” hanno titolato i giornali locali all’indomani del vertice. A suggellare il clima di pace ritrovata tra i capi di Stato (mentre le popolazioni continuano a essere carne da cannone) il primo ministro indiano ha guidato le delegazioni del G20 al memoriale del Mahatma Gandhi, non proprio un amante dei potenti, ma piuttosto un pioniere della resistenza all’oppressione per mezzo della disobbedienza civile.
Come siparietto finale Modi ha passato il testimone (un martelletto in legno come quello dei giudici nelle aule di tribunale) a Lula, il cui Brasile ospiterà il prossimo vertice. Fresco dell’allargamento dei BRICS ad altri 6 membri effettivi dal primo gennaio 2024 dopo gli incontri in Sudafrica di fine agosto (Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti), con fare sornione e guardando di sottecchi in direzione dello yankee Biden, il presidente brasiliano ha annunciato che non ha nessuna intenzione di far arrestare Putin, se volesse venire a Rio…
Con l’ingresso dei nuovi membri i Paesi BRICS “rappresenteranno il 36% del Pil mondiale e il 47% della popolazione dell’intero pianeta”, aveva detto durante la conferenza stampa finale in Sudafrica, preconizzando l’avanzata inesorabile dei Paesi del cosiddetto Sud globale (spalleggiati da Russia e Cina) verso il redde rationem per l’odiato Nord, di cui il presidente ex operaio continua però a seguire il modello capitalista…
E la Giorgia littoria-nazionale? Dopo aver bacchettato da Delhi sulla questione ITA-Lufthansa il Commissario europeo Gentiloni – discendente di quel conte marchigiano Vincenzo Ottorino Gentiloni, fu presidente dell’Unione elettorale cattolica italiana, che siglò con Giolitti nel 1913 un accordo informale, il Patto Gentiloni appunto, per consentire ai cattolici di votare con i moderati e bloccare l’avanzata dei socialisti – reo di immobilismo nei confronti della stessa Commissione europea contraria alle soluzioni proposte dal suo governo, prima di rientrare in Italia è volata a Doha dall’emiro sceicco Tamim bin Hamad Al Thani. Una capatina strategica, sempre in difesa degli interessi italiani, soprattutto in ambito energetico (il Qatar è il terzo fornitore energetico per l’Italia a cui fornisce il 10% del suo fabbisogno) e in quello della cosiddetta sicurezza. Le forze armate qatariote hanno firmato diversi contratti con Leonardo e Fincantieri. A maggio il gruppo navale ha consegnato al Qatar la quarta corvetta modello “Al Zubarah”, mentre, da accordi presi, è prevista la costruzione (in Italia) di una nave anfibia e due pattugliatori, oltre alla fornitura di servizi di supporto per dieci anni: una commessa valutata sui 4 miliardi di euro. Ai Mondiali in Qatar dello scorso anno (da metà novembre a metà dicembre), come si ricorderà, l’Italia inviò il suo contingente militare (esercito e carabinieri) con a capo il generale Figliuolo. Per garantire la sicurezza durante l’evento, la task force qatarina costituita da 5000 uomini fu integrata, oltreché da quelle italiane, dalle forze militari di Francia, Pakistan, Regno Unito, Stati Uniti e Turchia. L’allora neoministro della Difesa Guido Crosetto, alla partenza dei militari italiani, ebbe a dire: “Sarete gli unici a rappresentare l’Italia ai Mondiali e per questo tenete alta la nostra bandiera!”. Questo è il livello.
Poi c’è il gas. Dal 2009 il Qatar fornisce all’Italia otto miliardi di metri cubi di GNL (Gas Naturale Liquefatto) che viene rigassificato nel Terminale GNL Adriatico (un’isola artificiale a circa 15 km al largo di Porto Levante, frazione di Porto Viro, in provincia di Rovigo), aperto a ottobre 2009. Attraverso la sua compagnia petrolifera, la Qatar Energy, l’emirato controlla il 22% di Adriatic LNG, la società che gestisce il rigassificatore di Porto Viro. Il Paese del Golfo ha stretto accordi con Eni per sviluppare e consolidare lo sfruttamento del Qatary North Field, nome della porzione qatarina del più grande giacimento offshore di gas naturale al mondo, condiviso con l’Iran. Un anno fa Qatar Energy e Eni hanno siglato una joint venture che prevede l’espansione del sito nel Golfo Persico da compiersi in due fasi (una per il North Field East e una per il North Field South) entro il 2026-27. La Qatar Energy e Eni non collaborano solo all’interno dell’emirato, ma progettano anche nuove prospezioni da svolgere in diverse regioni del mondo (alla faccia delle soluzioni per contrastare il cambiamento climatico invocate anche in India e alle varie COP, una più inconcludente dell’altra). Nel Golfo, oltre a Eni, sono coinvolte nel progetto North Field anche la francese TotalEnergies, le statunitensi ExxonMobil e ConocoPhilips e la britannica Shell.
Secondo i dati SACE (Servizi Assicurativi del Commercio Estero, dal 2004 S.p.a. controllata dal ministero dell’Economia) il Qatar è il 37esimo mercato di destinazione dell’export italiano e il settimo mercato tra il Medioriente e il Nordafrica. Le esportazioni italiane verso l’emirato hanno raggiunto nel 2022 i 3,4 miliardi di euro (70,5% in più rispetto al 2021) e si prevede che continueranno a crescere toccando i 4,6 miliardi nel 2026. Per il Qatar l’Italia rappresenta l’ottavo partner commerciale e il settimo fornitore. L’Italia esporta principalmente imbarcazioni, armamenti, aerei e macchinari, importando dal Qatar, oltre che (principalmente) GNL, essenzialmente prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica. In Italia ci sono importanti investimenti turistici e immobiliari del Qatar. Nel 2022 il valore degli scambi totale ha raggiunto nei primi undici mesi circa 6,8 miliardi di euro, con un incremento del 120% rispetto allo stesso periodo del 2021. Delle 250 imprese italiane che operano in Qatar, 200 sono a capitale congiunto Qatar-Italia e 50 a capitale solo italiano. Con la creazione di organi come il Qatari-Italian Businessmen Council (niente women, a parte le hostess sui 40 voli settimanali della Qatar Airways tra Doha e gli aeroporti di Milano, Roma e Venezia?), che a suo tempo predispose la partecipazione del Qatar a Expo Milano 2015, si tessono relazioni per incentivare gli investimenti reciproci.
Ad accompagnare, già a partire dalla sera di domenica 10 settembre, la Meloni nella missione nel Golfo, c’erano l’ad di Eni Claudio Descalzi e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (il maggiore azionista di Leonardo e Fincantieri, come di Eni, è il ministero dell’Economia). Oltre al tema degli investimenti in settori come la Difesa e l’energia, è stata toccata la materia del “contrasto all’immigrazione irregolare”. Dopo aver millantato di voler “dare la caccia agli scafisti per tutto il globo terracqueo”, i rappresentanti di questo governo vanno in giro per lo stesso globo a far visita ai vari capi di Stato dei Paesi interessati dai flussi migratori (investimenti strategici alla mano), nella cieca convinzione che lo stringere patti per reprimere e chiudere tutti i varchi ai migranti dissuada queste persone dal tentare ancora un altro disperato viaggio o dal cercare di far breccia da qualche parte nel muro della Fortezza Europa. Investimenti strategici di cui i potenti della terra discutono ad ogni vertice, come al colorato G20 floreale in India.
Nino Lisibak